La MAT SIDE JIU JITSU Molfetta, scuola di NOGI grappling e Brazilian Jiujitsu nata nel 2006 a Bari, inizialmente col nome di SUBMISSION FIGHTING UNION, per iniziativa di Vanni Altomare.
Già attiva e presente nel campo, vanta già il conseguimento di numerosi titoli, e può contare su giovani talenti che cominciano ad affacciarsi nell'agonismo.
Nel 1998 Vanni Altomare consegue il grado di cintura nera di Judo. Oltre a questa disciplina pratica lotta libera e NOGI Grappling.
Nel 2010 è stato investito del grado di cintura blu di brazilian jiujitsu dal Maestro Bernardo Serrini.
Nel 2012 ha conseguito il grado di cintura viola, dal Maestro Roberto Atalla de Moraes. Nel 2014 consegue il grado di Cintura marrone di Brazilian Jiu Jitsu.
Il 5 giugno 2016 Riceve la cintura nera da Bernardo Serrini.

Oggi è l'unico centro accreditato dalla MAT SIDE nel sud d'Italia.

Quest'anno le lezioni saranno tenute presso il centro sportivo THE BOX - CrossFit Molfetta.

PER CONTATTI: vannialtomare@gmail.com

mercoledì 26 ottobre 2011

Livorno Grappling Challenge 2011



Quest'anno la prima gara della stagione, ha visto scendere in campo il solito immancabile Luigi Germinario e Mimmo Vestito, rispettivamente al loro esordio in classe A e B.
Un'appuntamento a cui nessun membro della squadra pugliese della RGC aveva mai preso parte: il Livorno Grappling Challenge.
Purtroppo avrei voluto prendervi parte, ma gli imminenti impegni all'estero e la preparazione, nonchè organizzazione (più che altro monetaria) per le prossime gare, hanno imposto a tutti i membri della accademia di dividerci fra i vari appuntamenti.
I nostri due baldi eroi partono alla vota di Livorno, dunque, il sottoscritto e consorte per Parigi, successivamente, tutti quanti appassionatamente a Milano, per il Milano Jiu Jitsu Challenge.

Stavolta sapevo che sia Luigi che Mimmo sarebbero stati impegnati in una gara difficile, perchè impegnati a partecipare in classi più impegnative. Ma a quanto pare stimavo con difetto le capacità dei miei uomini.
Cominciamo da Mimmo. Affronta i primi due avversari, pare due wrestler americani, battendo il primo 7 - 0, e il secondo 4 - 0. Perde la finale contro un istruttore RGC proveniente da Pistoia, molto esperto. Ottimo argento, per un Mimmo che va sempre più prendendo coscienza delle proprie capacità.

E' la volta di Luigi. Combatte contro Marcel Leteri Sasso, la cintura nera di BJJ titolare della nazionale italiana di grappling. Non essendo stato presente non sono in grado di esprimere un giudizio sulla lotta, ma quel che è certo è che perde 2 -0... un risultato a cui non avrei mai sperato. Disputa la seconda lotta contro un lottatore di Greco Romana dell'est europeo con il quale perde alla monetina dopo un combattutissimo 1 - 1.

Questa gara ci regala un Bronzo in classe A e un argento in classe B, un bottino più che soddisfacente, ma quel che più conta è che cresce sempre di più la convinzione che qui a Molfetta si sta sempre più consolidando una classe agonistica di lottatori di livello, che dimostrano con i fatti la loro preparazione e la loro esperienza sul campo.

Complimentoni a tutti ragazzi... sono orgoglioso di voi!!!!!

P.S. : a breve video degli incontri!!!

martedì 18 ottobre 2011

Ansia da prestazione agonistica


Stavolta vorrei parlare di un problema che interessa tutti i praticanti di bjj/grappling che si apprestano a calcare il tatami delle gare, ma più in generale, qualunque atleta, ovvero l'ansia da prestazione preagonistica.
Inutile nasconderlo, l'ansia prima di salire sul tatami colpisce tutti, novizi e grandi campioni, in misura differente magari, ma comunque è presente, anche se non si manifesta o se viene nascosta.
L’ansia, in generale, è un segnale che indica lo stato d’impotenza di fronte ad una situazione, che il soggetto vive come una minaccia, esterna (sentire un pubblico contrario) o interna (es. timore di incontrare un avversario).
Può essere considerata un particolare evento emozionale con caratteristiche multidimensionali, poiché essa produce delle modifiche su quattro livelli: fisiologico, cognitivo, emotivo e comportamentale.
Dal punto di vista fisiologico le risposte di attivazione più comuni risultano essere: il respiro affannoso (che può condurre all’asma) l’aumento della tensione muscolare, la tachicardia, l’aumento della sudorazione, l’emicrania, i dolori addominali, i disturbi gastro-intestinali, l’ipertensione arteriosa, la secchezza delle labbra, le alterazioni del sonno, fame nervosa o chiusura d’appettito, l’oppressione toracica, il frequente bisogno di urinare, i tic… .
Dal punto di vista cognitivo le risposte riguardano: l’eccessiva preoccupazione di non riuscire a ..., la convinzione di non essere in grado di …, i ricorrenti pensieri di pericolo, l’incapacità di concentrarsi, le aspettative negative sugli esiti della gara, uno stato costante di vigilanza, la rigidità di pensiero.
Dal punto di vista emotivo le principali risposte sono accomunabili al senso di disagio, ad uno stato di confusione mentale, ad uno stato di apprensione eccessiva, ad un senso di paura e di tensione, alla sensazione di avere uno scarso controllo della situazione, ad un senso di disistima, al negativismo estremo.
Dal punto di vista comportamentale, infine, le risposte più estreme conducono ad atteggiamenti di fuga dalla situazione, e conseguentemente ad un peggioramento nelle performance, e nei casi più gravi, potrebbero rendere il soggetto inabile per un determinato periodo di tempo; ciò può avere origine dall’abbassamento del livello d’autostima positiva del soggetto, nonché dal peso di risposte fisiologiche ostacolanti e di risposte cognitive caratterizzate dalla presenza di belief disfunzionali.
L’ansia pre-agonistica è comune a tutte le età, ma specie nei bambini e negli adolescenti, per i quali, da un lato, la motivazione ad autoaffermarsi, attinente allo sviluppo del sé, e dall’altro, la ricerca di consenso e di approvazione sociale, attinente allo sviluppo sociale, risultano essere significative.
L’ansia è un’emozione correlata alla vita, che a livelli moderati assume per l’atleta, e per l’individuo in generale, una connotazione positiva, in quanto crea motivazione e ci spinge a mobilitare le nostre risorse personali, mentre a livelli esponenziali, essa è bloccante ed impedisce di attivare in maniera efficace tutte le risorse di cui disponiamo.

Sia come atleta che come istruttore, nel corso della mia esperienza, ho dovuto più e più volte affrontare questo problema, sia in prima persona che con i miei studenti, e, anche se ritengo di aver superato questo scoglio a livello personale, credo che, in futuro, mi ritroverò sempre a dover supportare ragazzi che si affacciano all' agonismo, e che devono affrontarlo.
Ovviamente non sono uno psicologo sportivo, e nel corso degli anni, mi sono dovuto documentare più volte per poter riuscire a trovare degli approcci corretti per la risoluzione di questo gravoso problema. Quello che mi propongo di fare con questo pezzo, è semplicemente fornire dei suggerimenti a tutti coloro che soffrono di ansia preagonistica e  a tutti coloro che, in qualità di istruttori, hanno il dovere di fornire un supporto ai propri studenti.


Il livello d’ansia, che subentra in situazioni di gara o di competizione, dipende dal nostro particolare modo di valutazione degli eventi sulla base dei pensieri che abbiamo appreso nell’arco della nostra vita.
Nello specifico se carichiamo di eccessivo peso una determinata competizione o sopravvalutiamo il potere dell’avversario, e al contempo sottostimiano le nostre abilità e competenze per far fronte alla situazione, raggiungeremo con molta probabilità elevati livelli d’ansia.
Pertanto, riassumendo, l’ansia pre-agonistica, viene generata da una doppia valutazione disfunzionale: la prima che tende a sovrastimare la situazione; la seconda, invece, che tende a sottostimare le proprie risorse personali.

Le cause principali cui attribuiamo gli eventi sono: l’abilità, che un fattore interno e stabile nell’individuo; l’impegno, che è un fattore interno ma instabile (che può variare); il grado di facilità/difficoltà del compito, che è un fattore esterno e stabile (non dipende dal soggetto) e la fortuna/sfortuna, che è un fattore esterno ma instabile.

L’ansia pre-agonistica, può derivare, in soggetti timidi, introversi e con bassa fiducia in se stessi, anche dall’imbarazzo per la presenza del pubblico, dalla paura che gli altri possano emettere giudizi negativi relativi alla propria persona e/o alla propria performance.
Quindi, in questi casi, il fattore scatenante riguarda il pensiero che quella specifica situazione richieda una qualche forma di giudizio o di valutazione della propria prestazione.
Un altro fattore scatenante potrebbe essere connesso ad un infortunio; nello specifico l’atleta che ha subito una lesione nel corso di una gara, possibilmente potrebbe essere rimasto traumatizzato dall’evento, e perciò la situazione "gara", rievocherà in lui quel ricordo traumatico, e in concomitanza la manifestazione di sintomi d’ansia.
Infine, assume anche un valore preminente nell’influenzare la situazione emotiva dell’atleta il rapporto con l’allenatore, il quale, talvolta, può manifestare aspettative troppo elevate o può esercitare eccessive pressioni o richieste, esaltando più l’aspetto tecnico nel lavoro con l’atleta, e sottovalutando, invece l’aspetto psicologico ed educativo della relazione.
L’allenatore, invece, dovrebbe manifestare la sua stima nei confronti dell’atleta, gratificandolo durante l’allenamento, comunicandogli previsioni ottimistiche, relative alla sua futura prestazione.

GLI EFFETTI
L’ansia pre-agonistica presente negli atleti può avere riflessi positivi o negativi sulla performance sportiva, a seconda della sua intensità.
Esiste una stretta correlazione tra tensione-ansia e performance, che può essere rappresentata graficamente con una curva ad U rovesciata, definita anche come legge di Yerkes e Dodson (1908).
La performance ottimale si ha ad un livello moderato di emotività (ansia positiva): un aumento o una diminuzione di tale livello genera effetti negativi.
Nello specifico, senza tensione mancherebbero livelli adeguati di motivazione e di interesse alla competizione, nonché la spinta ad attivare positivamente le proprie forze; d’altra parte, troppa ansia inibisce l’attività, in quanto mette in moto solo attività di difesa.

L’ansia pre-agonistica genera un circolo vizioso caratterizzato da emozioni e pensieri che si influenzano reciprocamente: apprensione (pensiero associato "oggi ci sarà la gara"), preoccupazione (pensiero associato "temo il confronto con l’avversario, oppure "temo di sbagliare") e ansia (pensiero associato "penseranno che non sono brillante").
Le conseguenze sulla persona riguardano: dal punto di vista fisiologico, un innalzamento dell’arousal, ossia del livello di attivazione sottocorticale, mentre dal punto di vista psicologico l’innescarsi di una forma più o meno elevata di tensione, che conduce ad una sensazione di impotenza nell’affrontare una determinata situazione di gara.

Quando l’ansia assume aspetti oppressivi, ovviamente casi estremi, quando lo stato d’impotenza duri troppo a lungo o venga innescato frequentemente, essa viene somatizzata, e si trasforma in angoscia.
La tachicardia, l’asma, l’ipertensione arteriosa……., cioè tutte quelle modificazioni fisiologiche, di cui abbiamo parlato sopra, non sono altro che conversioni patologiche di uno stato d’ansia.
L’ansia pre-agonistica può inevitabilmente generare sentimenti di inferiorità nell’atleta, specialmente se essa è associata ad un bisogno di successo che assolutizza il valore della prestazione.
Il rischio maggiore è quello di incorrere in modalità ossessive, che oscurano il valore ludico dello sport, e che, incrementando i livelli d’ansia dell’atleta, contribuiscono ad un ulteriore peggioramento delle sue performance. Molti ragazzi, in palestra brillanti, non riescono ad esprimere adeguatamente il loro valore in gara.

LE STRATEGIE DI GESTIONE


Il primo passo da compiere, in questi casi è quello di riconoscere il problema; ciò implica prendere coscienza di esso ed essere pronti ad affrontarlo.
Successivamente sarà possibile intervenire insegnando all’atleta a non concentrare la sua attenzione solo sui pensieri negativi (comportamento tipico dei soggetti ansiosi), bensì a pensare in modo positivo.
In tal senso utili possono essere considerate delle formule del training autogeno, atte a predisporre alla calma (es. "Ce la metto tutta, ma se non va, andrà meglio la prossima volta", "Sono tranquillo e padrone dei miei movimenti"); o ad incrementare l’autostima (es. "Affronto la gara sicuro e fiducioso", "Mi muovo agile e veloce"); o a materializzare all’esterno il problema dell’ansia come fosse un nemico da sconfiggere ("L’ansia è una brutta bestia, ma io la vincerò").
Per quanto concerne gli esercizi complementari del training autogeno, quelli del cuore e del respiro sono i più indicati per cercare di controllare l’ansia poiché conducono ad un battito cardiaco regolare e ad un ritmo respiratorio libero e spontaneo.

Efficace è anche l’utilizzo del metodo della visualizzazione (rilassamento e imagery della gara); nello specifico immaginare la prova che mette tanta ansia prima di attuarla, focalizzandosi sulle azioni e sui gesti da compiere, nonché sulla realizzazione di un brillante risultato (rilassamento e imagery dell’obiettivo da perseguire), permette di costruirsi una rappresentazione mentale di tutta la sequenza cinetica da implementare e aiuta a predisporsi con l’animo giusto alla gara.

Una delle tecniche maggiormente indicate per imparare a gestire livelli eccessivi di ansia preagonistica è la desensibizzazione sistematica.
Essa consiste nel portare gradualmente il soggetto ad abituarsi a ciò che gli procura ansia.
Nello specifico, una volta individuato lo stimolo ansiogeno, si stabilisce con l’atleta una gerarchia di situazioni, da quella che suscita meno ansia, sino a quella più stressante; successivamente per ogni situazione si fanno degli esercizi di rilassamento finché il soggetto si abitua allo stimolo e questo non gli produrrà più ansia.

Inoltre, gli esercizi di respirazione poco prima di una gara favoriscono l’ossigenazione del sangue, rendendo più vigili i sensi e più lucida la mente, e al contempo consentono di avvertire una sensazione naturale di vitalità del corpo.
Difatti l’atto respiratorio risulta essere in stretto rapporto con l’attività psichica, in particolare se esso viene accompagnato dal pensiero di immagazzinare, inspirando, tutte le energie positive provenienti dall’esterno, ed eliminare, espirando, tutte le tensioni e le energie negative che provengono dall’interno del nostro corpo.

In gara l’atleta deve essere in grado di crearsi un’istantanea immagine distesa, che funga da ausilio al fine di riportare la concentrazione e la sicurezza nei momenti più difficili, facendo largo uso di quello che viene definito il "linguaggio interiore positivo".
Il soggetto ansioso tende a preoccuparsi eccessivamente per le situazioni che gli si propongono, e a sottostimare le risorse che possiede per affrontarle, ciò lo conduce ad una fuga dal presente, avendo pensieri fissi su qualcosa di negativo che "potrebbe accadere" o "che già è accaduto e potrebbe ripresentarsi"; la pratica regolare dello stretching, da attuare anche poco prima della gara, oltre che a ridurre la rigidità muscolare, potrebbe aiutarlo ad utilizzare il corpo e la mente in armonia, concentrandosi ad ogni movimento sui muscoli che si distendono e su quelli che si allungano, favorendo una predisposizione a collocarsi attivamente nel tempo presente, migliorando il contatto intimo col proprio io e riscoprendo il valore delle proprie risorse.
Pertanto, lo stretching consente alla persona tendenzialmente ansiosa di acquisire maggiori sicurezza e dinamismo nella capacità di affrontare le situazioni e di migliorare la propria capacità di autocontrollo.

Anche il goal setting è importante, in quanto imparare a prefiggersi degli obiettivi, che possono essere controllati personalmente, come quelli volti al miglioramento di un gesto atletico o un’abilità mentale, consente di: aumentare il proprio livello di concentrazione, allontanando dalla mente i pensieri negativi distraenti; di accrescere il proprio senso di autoefficacia e di autostima; e di migliorare la propria performance, riducendo l’ansia circa l’attività svolta.

Un'altra strategia molto interessante è quella che chiamano delle emozioni scatenanti.
E' vero infatti che ciascun atleta, si appresta ad entrare in gara con uno stato d'animo diverso e in una condizione mentale del tutto unica e personale. E' possibile, quindi, che esistano delle emozioni, o stati d'animo che contribuiscano a far crollare i blocchi generati dagli stati d'ansia e mettano l'atleta nella condizione psicologica di esaltare la propria performance sportiva.
L'attenzione dell'allenatore, e dell'atleta in primis, deve essere concentrata sulla ricerca di questa emozione, (rabbia, allegria, serenità, frustrazione), che caratterizza ogni singolo atleta, e riuscire a rievocarla, magari attraverso l'ascolto di musica, poco prima di salire sul tatami, al fine di metterlo nella condizione psicologica migliore.


La gara, invece, dovrebbe essere vista come un’occasione di crescita, come un’esperienza formativa che consente il confronto leale con gli altri, come un momento per verificare il proprio percorso di apprendimento e di allenamento finora raggiunto, operando una sintesi circa i propri punti di forza e i propri punti di debolezza.
E’ fondamentale far riflettere l’atleta su come percepisce la gara: la percezione della gara come minaccia lo renderà più vulnerabile alla tensione emotiva; mentre la percezione della gara come una sfida lo renderà più motivato, più persistente e più impegnato.
La vera vittoria personale, al di la del risultato, è quella di riuscire ad essersi impegnato al meglio; la sconfitta non deve essere identificata come qualcosa di irrimediabilmente negativo, ma come uno stimolo ad impegnarsi di più la prossima volta, cercando di migliorare quegli aspetti deficitari di natura tecnica o psicologica che hanno ostacolato la prestazione.

Per gestire l’ansia pre-agonistica negli atleti giovanissimi occorre puntare l’attenzione sulla valenza ludica ed espressiva dello sport, piuttosto che sulla qualità positiva della performance; inoltre bisogna attribuire gli insuccessi non alla carenza di abilità, ma alla minore quantità di impegno profuso, in modo tale da non indebolire il grado di autostima positiva del soggetto, e al contempo motivando quest’ultimo a mettere in atto con maggiore energia e vitalità le sue risorse.
Il gioco, inteso come piacere del gesto motorio, dovrebbe comunque essere mantenuto nell’attività sportiva più matura, poiché esso rende viva la motivazione dell’atleta, e previene il drop out, ossia l’abbandono della pratica sportiva.

Infine, l’eventuale intervento psicologico, richiesto dall’atleta, che ha difficoltà a gestire livelli elevati d’ansia pre-agonistica, deve quindi mirare:

  • all’acquisizione della consapevolezza delle proprie emozioni sia in allenamento che in gara;

  • all’incremento della sua autostima positiva;

  • all’aumento del suo senso di auto-efficacia percepita;
Questi ultimi sono delle idee errate che inducono in noi ansia e stress.
Mi riferisco, per esempio a:
  • l’idea di voler riuscire in tutto, invece che accettare che ciascuno ha i propri limiti, ed è impossibile primeggiare in tutti i campi;

  • l’idea che la critica degli altri colpisca globalmente il valore di sé, anziché considerare una critica in modo costruttivo, cioè come rivolta solo ad una nostra specifica azione;

  • l’idea che il presente sia già determinato dal passato, anziché pensare a non fare in modo che le precedenti esperienze negative si ripetano, attuando delle strategie appropriate e dei cambiamenti maggiormente idonei;

  • l’idea che il proprio valore dipenda dall’ottenimento di determinati traguardi richiesti, invece che rendersi conto che ciascuno di noi vale "in quanto persona" a prescindere da ciò che riesce a fare, e non attribuire gli errori solo a se stessi senza considerare i numerosi fattori che concorrono ad un fallimento.